Giuseppe Abbati
note critiche


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La figura umana è ritornata, ma com’è riapparsa dopo l’informale?
Riappare nelle arti portandosi dietro quel bagaglio di conoscenze, di tecniche precedenti, ma è attuale come testimone dei problemi odierni.
Gli insegnamenti cubisti, futuristi, espressionisti sono vivi nelle chine, negli olii, nelle tecniche miste di Giuseppe Abbati che reinterpreta i grandi maestri moderni nelle sue opere.
(...)
La società e il suo tumultuoso incedere viene espressa attraverso questi segni: la globalizzazione, le nuove tecnologie, la corsa al successo, sono criticate proprio tramite quell’uomo, del quale non si tiene più conto. Egli vorrebbe fermarsi e guardare indietro verso i suoi passi per capire se sta facendo ciò che egli vuole e non ciò che si vuole da lui.
E’ l’uomo comune sradicato dalla propria terra, dalle consuetudini naturali e proiettato verso qualcosa che non comprende, oscuro, discriminante, che lo angoscia.

Franco Giola

Le Combinazioni di Giuseppe Abbati

Nella ricerca di Giuseppe Abbati è dominante la curiosità verso gli stili e le correnti del ‘900.
Della prima parte del secolo corto intravvediamo soprattutto un’anima dadaista espressa nel solco di Grosz e Johannes Baader o, di più, di Hannah Hoch (a parte gli evidenti omaggi a Duchamp). Vediamo emergere così l’attrito dell’artista sulla realtà del nostro ultimo ventennio nella scomposizione, nel taglio, che diventano il già ampiamente evocato all’inizio del ‘900 (dopo guerre e crisi sociali che ci appaiono chiaramente corsi e ricorsi), “atto eretico” e fondamentalmente liberatorio, attraverso il riassemblaggio di matrice concettuale dadaista.
A livello formale troviamo in queste “combinazioni” tutto il lavoro di studio e ricerca che l’artista ha rivolto, particolarmente, ad alcuni dei grandi artisti attivi nella ricomposizione estetica a mezzo del collage; si vedano ad esempio, oltre ai già citati, gli statunitensi Rauschenberg ed Eugene Martin, per i rapporti tra materia e colore; il britannico Richard Hamilton, non per l’appioppato “pop”, ma per l’organizzazione spaziale e le inquadrature (“Interior” e “Interior II” del 1964-5 ne sono valida testimonianza); l’europeissimo Jiri Kolar, per la scientificità dell’approccio alla realizzazione dell’opera, per alcuni aspetti tecnici (tra cui sagomature e riempimenti) e per la meditata enfasi dedicata ai “vuoti” e ai “pieni”; il Bruno Munari di alcuni collages (tipo “Ci ponemmo dunque in cerca di una femmina d’areoplano” del 1930) e per l’onirica ibridazione tra oggetti, e tra oggetti e figure.
Il lavoro di Abbati scaturisce anche da una inevitabile e quasi genetica (è nato nel 1973) introiezione della “tempesta grafica” che va, in varie forme e su vari supporti e media, prima dal 1966 al 1975 e poi fino al 1987.
Alle radici di questa serie di lavori rinveniamo anche un senso di monumentalità ricollocato, a volte in contraddizione con il concetto dada. Abbati, infatti, crea soggetti totemici che “involontariamente” si piazzano, spesso addirittura iconicamente, al centro della scena.
Come e più di altri artisti, Abbati è un avido divoratore ed elaboratore di immagini; di stimoli accarezzati dove altri non trovano. Utilizza, poi, una brillante fantasia, supportata dalla serietà nella ricerca formale, per progettare e costruire, a partire da queste “visioni”, nuove realtà possibili. Queste sue opere ci segnalano vie d’uscita inaspettate e fantastiche.
Le “combinazioni” ci danno impressioni di nuovi spazi, di tenerezze inconcepibili (ad esempio, tra una zampa di cavallo ed una serie di lavandini come nella composizione “Y” o tra un ramo spoglio forse di Lagestroemia e una ruota di bicicletta come nella “N”); ironie profonde.
Prospettive, in entrata e in uscita, sempre in connessione e sempre libere. In tutte le porte, nelle finestre, negli stessi muri, negli specchi e nelle ante d’armadio (come quinte di scena) vi sono segnali, aperture, dialoghi evocati tra forma e cromia.
Entrare in quegli spazi. Questo è il desiderio a cui ci accompagna l’artista con questa serie di ventisei “ambienti”; o almeno a poterli vedere in 3D; stargli innanzi e respirare aria nuova.
L’indice alfabetico che accompagna le opere, è un codice compositivo che, anche se non del tutto decifrato o decifrabile, ha un suono armonico e una propria poesia.

Francesco Oppi
(dal Catalogo della mostra "Combinazioni", 2014)

Qui sopra, tre "combinazioni" di Abbati.
(...) l’“Inferno”, tanto e profondamente studiato ed analizzato nei secoli, appare attraverso l’arte visiva ancora attivo nella creatività e nella sensibilità contemporanea ed ogni artista appare tassello di un mosaico vivace e complesso; ogni immagine che accompagna il testo ci parla di una volontà di lettura e di un desiderio di partecipazione che nelle sue dimensioni sembra inesauribile, quasi a voler predisporsi ancora a nuove “Illustrazioni”.

L’intera mostra ed il volume che la accompagna sono la tangibile prova di quanto arte e letteratura continuino a convivere ed a produrre nuovi contributi; ritengo cioè collocare questo nuovo evento in quella grande storia dell’arte moderna e contemporanea che ha fatto del “libro d’artista” un oggetto straordinario di creatività ed a cui numerosi artisti anche presenti in questo progetto hanno portato significativi contributi (...)


Andrea B. Del Guercio

(Catalogo della mostra Dante 100 per 100 - Inferno. Raccolto Ed., 2007)
(...) Giuseppe Abbati gioca con le identità attraverso le scomposizioni dei volti dei soggetti che, grazie alla tecnica del collage e della frammentazione del colore, divengono specchio dell’interiorità. Chiari riferimenti a Bacon e ai dadaisti: In balia della mente e Dai una nuova direzione. Immagini immerse in una contemporaneità dissolvente. (...)

StatArt

(dal Catalogo della mostra Circuiti Dinamici 2011)
Giuseppe Abbati, autodidatta, ha assorbito e rielaborato, grazie alla assidua frequentazione della lettura e alla spiccata sensibilità formale, tutte le tecniche pittoriche in maniera completa.
Nelle opere degli ultimi due anni appare evidente l’indagine – irrazionale ma scientifica allo stesso tempo – come nella miglior tradizione informale, del volto e del corpo. Fluttuanti creature oggi su sfondi spesso omogenei, sarcastici "nudi" trattati come fossero angeli o amori di Fernando De Filippi.
Possibili (e condivisibili) i riferimenti a Francis Bacon e, un po' meno, alla pop art.
Primi piani intensi (con l'ironia da sala di posa) dove la figura, ben delineata, lascia spazio all’interpretazione astratta attraverso l’utilizzo personale degli accostamenti cromatici, spesso materici, e del collage.
La nostra attenzione si è soffermata, inoltre, sull’utilizzo gestuale della matita: con la freschezza di un bambino, l'artista si diverte a contrappuntare i volti da lui stesso “riassemblati”, quasi a voler verificare la possibilità di una nuova trasfigurazione o proposizione formale; questi interventi, sempre misurati, caricano di ulteriore energia le sue opere. (...)
Abbati è un artista interessante, ben strutturato, da seguire con attenzione perché animato da una continua ricerca.

Francesco Oppi (2011)
Giuseppe Abbati nasce nel 1973 a Cuggiono
Iniziaa dipingere nel '93.
Cinque anni dopo, l'incontro con Daniele Oppi e la cooperativa Raccolto segnano una svolta importante nel suo percorso.
Sulla lezione dei maestri del passato assiduamente studiati, reinterpreta la figura umana, frammentandola e ricomponendola, tra divertissement e sarcasmo, in arditi accostmenti cromatico-materici e inserti a collage.

Donatella Tronelli (2012)